Il governo di SYRIZA sta crollando. Il default della Grecia e l’uscita del Paese dall’Eurozona per scelta degli istituti di credito è un processo iniziato nel 2010 e attualmente segna l’inizio della fine del governo di SYRIZA. La realizzazione del memorandum del 2010 ha rappresentato una fase nel processo di default ordinario deciso dalla élite economica sovranazionale per garantire la sostenibilità dell’Euro e tagliare fuori un membro considerato in cancrena per la crisi del debito e da espellere. Sostanzialmente, il default della Grecia è stato sempre giudicato dall’élite economica sovranazionale come prerequisito per il suo salvataggio, anche senza rompere gli obblighi del Paese verso i creditori: ciò è stato assicurato includendo il Paese nel potere dell’FMI, della Bce e della Commissione Europea. Dal 2009, la Grecia è un Paese in bancarotta e questo era noto dal governo d’allora di Georgios Papandreou e dalla UE. L’élite economica sovranazionale, dal 2010 in poi, ha perseguito ordinariamente una tattica di default per salvaguardare i creditori, gli allora detentori di bond greci, ovvero le banche francesi, tedesche, inglesi e americane.
Il primo obiettivo del memorandum è stato proibire la sospensione unilaterale del pagamento dei debiti da parte del debitore. Su questa base tutti i beni di proprietà dello Stato greco sono stati congelati per garantire il rimborso del debito.
Inoltre, il debito è passato dalla legge greca a quella anglosassone che proibisce la sua conversione dall’Euro in ogni altra valuta nazionale svalutata. Lo Stato greco ha rinunciato alla sovranità nazionale sui suoi beni, tutti trasferiti sotto la giurisdizione dei creditori. Concedendo il precedente prestito di 110 miliardi di euro e sostituendo il vecchio debito con uno nuovo, il secondo obiettivo del memorandum è stato il rimborso dei bond greci di allora e il trasferimento del debito alle organizzazioni internazionali, l’FMI, la BCE e gli Stati membri della UE. Attraverso questo processo di ampliamento del default greco, i titolari di bond greci che a titolo d’investimento possedevano azioni-spazzatura, sono riusciti a liberarsene con minime perdite possibili.
Tale processo è continuato con il PSI (Private Sector Investment) durante la ristrutturazione del debito avvenuta nel marzo 2012, dove i grandi vincitori sono stati le banche estere straniere e i grandi sconfitti le banche greche, i fondi greci per la sicurezza sociale e i piccoli obbligazionisti.
Parallelamente a ciò, l’élite politica ed economica sovranazionale ha portato il Paese alla rovina e usando il dilemma “austerità o bancarotta e disastro” ha lanciato per cinque anni una politica di genocidio civile ed eutanasia nei confronti di fasce di popolazione, provocando migliaia di morti e di poveri, fame e immiserimento.
L’ultimo obiettivo dei creditori è la creazione di una UE a doppio binario, con Paesi potenti e grande surplus da un lato e Paesi deboli indebitati dall’altro.
Come detto, come prigionieri membri di Lotta Rivoluzionaria, nel dicembre 2008 nel nostro testo Fare della Grecia l’inizio della Lotta Rivoluzionaria: “La nostra uscita dall’EMU (Unione Economica e Monetaria) è ora considerata un dato per garantire l’attuazione dell’Euro. Tuttavia, dato l’approfondirsi della crisi e il crollo finanziario di un Paese europeo dopo l’altro nel prossimo futuro, risulta difficile non solo all’UEM sopravvivere ma anche per la UE. Lo scenario più ottimistico per il futuro dell’Unione vedrà Paesi potenti, con grande surplus che comanderanno e Paesi in bancarotta della periferia europea che saranno trasformati in protettorati, perché cederanno completamente la propria sovranità politica ed economica a direzioni politiche ed economiche d’Europa. Questa condizione viene promossa nella UE stabilendo un ordinato meccanismo di default”.
Quasi cinque anni più tardi, questo processo prende forma con il default della Grecia in seno alla UE e nell’ambito della sua uscita dall’UEM. Tramite il processo di ordinato default, si prevede che la Grecia sarà il primo Paese a inaugurare la UE a doppio binario. Tutti i governi greci, dal 2010 ad oggi, hanno fedelmente seguito queste aspirazioni dell’élite sovranazionale.
Il governo di SYRIZA sta crollando in un tempo molto più breve rispetto ai suoi predecessori, i governi di Samaras e Papandreou.
Malgrado in 5 mesi il governo di SYRIZA abbia rinunciato al programma per cui è stato eletto, abbia accettato di rimborsare il debito e sottoscritto l’ampliamento del memorandum esistente n. 2, malgrado abbia scavalcato molte delle sue red lines nelle trattative con l’obiettivo di firmare un nuovo accordo di memorandum con i creditori – accordo che SYRIZA stesso ha ammesso essere più rigido delle misure proposte dall’ex-ministro delle Finanze, Hardouvelis – gli istituti di credito hanno deciso il default greco e l’uscita dall’UEM, restando ovviamente intatti gli obblighi debitori.
In cinque mesi che è al potere, SYRIZA ha dimostrato quanto fosse impraticabile il suo programma, quanto inapplicabili fossero le sue riforme keynesiane perseguite in un ambito neoliberale globalizzato nel quadro della UE, quanto contraddittorio fosse accettare il rimborso del debito mentre si cerca di aumentare il salario base, essere d’accordo con le privatizzazioni e volere che lo Stato sia rappresentato nelle imprese privatizzate, richiedere finanziamenti dagli istituti di credito mentre non si vuole applicare i termini dell’accordo sul prestito da lui stesso accettato, impegnarsi in difficili trattative scavalcando le red lines accettando misure del memorandum e causando, indirettamente attraverso nuove tasse e l’aumento dell’IVA, un’ulteriore riduzione del reddito popolare, cassa integrazione e aumento della disoccupazione, pensare di ricattare gli istituti di credito minacciando di non pagare le rate del mutuo, mentre il 20 febbraio aveva accettato di firmare che non ci sarebbe stata una rottura unilaterale dei pagamenti del debito e che i beni statali greci sarebbero stati congelati e non venduti a meno che pagassero.
È certo che in tutto questo tempo i finanziatori hanno ritenuto il governo di SYRIZA un socio affidabile e un amministratore della crisi greca. Il referendum del 5 luglio deciso dal governo per accettare o respingere le proposte dei finanziatori non è altro che la gestione del suo naufragio politico, accompagnato da teorie cospirative e sospetti di golpe politico e “nuovi louliana” (con riferimento agli avvenimenti del luglio 1965) miranti al suo rovesciamento.
Ma in realtà il governo di SYRIZA collassa sotto il peso delle sue contraddizioni e della sua situazione di stallo. Il referendum non ha una base materiale, perché 5 giorni prima del voto, il 30 giugno, scade il programma d’austerità e il Paese è già in stato di default, quindi non c’è qualcosa come una nuova trattativa o una proposta per un accordo con gli istituti di credito. Inoltre, l’esito del referendum, qualunque sarà, non influenzerà la bancarotta del Paese e l’uscita dall’UEM, entrambi inevitabili, né scongiurerà l’eventuale caduta del governo.
Nel caso al referendum uscisse il “SI” alla proposta degli istituti di credito, la caduta del governo sarà molto più immediata, dato che è formalmente favorevole al “NO”.
Se invece la maggioranza dei partecipanti votasse per il “NO”, può darsi che il governo guadagni un poco di tempo, ma è completamente incapace e impreparato ad affrontare le conseguenze della bancarotta e l’uscita dall’UEM, quindi la sua caduta prima o poi ci sarà.
Nonostante l’esito, però, il referendum è fuorviante, perché ciò che è realmente in gioco, precisamente il dilemma Euro o Drachma, non fornisce alcuna soluzione ai problemi del popolo.
Come abbiamo sostenuto come Lotta Rivoluzionaria, l’uscita dalla UEM e l’adozione della Drachma nel quadro della UE lascia intatto il problema del debito e non annulla gli impegni legati al memorandum. Considerato che una condizione del memorandum vieta la conversione del debito dall’Euro in ogni altra valuta nazionale sottovaluta, l’adozione della Drachma non solo non ridurrebbe il debito, anzi lo accrescerebbe.
Inoltre, l’adozione della Drachma svalutata porterebbe un’ulteriore svalutazione rispetto al potere d’acquisto dei lavoratori e quindi un deterioramento dei livelli di vita, il che aumenterebbe povertà e impoverimento. Pertanto, la sola questione della moneta non risolve il problema. Chi pensa che uscire dall’UEM dentro la UE sia una soluzione radicale si sbaglia di grosso. L’uscita attuale della Grecia dall’Eurozona è cercata dagli istituti di credito per declassare un Paese a protettorato nell’ambito della UE, in modo che possa essere venduto più facilmente per rimborsare i suoi debiti.
Solo la mobilitazione dal basso, solo l’azione di un Movimento Rivoluzionario che rovescerà il Capitale e lo Stato, cancellerà il debito, spingerà il Paese fuori dalla UE, dalla NATO e dall’economia di mercato sarebbe una soluzione radicale, proponendo la riorganizzazione della società sulla base di un Comunismo Libertario, fondato su una confederazione di comunità, consigli di lavoratori e assemblee popolari.
In questo momento la politica di bancarotta di SYRIZA, la bancarotta del Paese e l’uscita dalla UEM – le cui conseguenze sono sconosciute anche agli stessi finanziatori – aprono una serie di opportunità per le forze rivoluzionarie, così da promuovere la prospettiva del rovesciamento.
Astenersi dal referendum
No al dilemma Euro o Drachma
L’unica soluzione è la rivoluzione sociale e il popolo in armi
Nikos Maziotis
carcere di Koridallos
28 giugno 2015